venerdì 6 agosto 2010

Sogno o son desto?

Il frastuono della citta’ che sta lentamente tornando a casa dopo una giornata lavorativa. Il sommarsi algebrico dei rumori di autovetture, treni, sistemi di ventilazione di diversi opifici, lo scalpiccio di migliaia di piedi, come un enorme e ramificato bruco, della folla che priva di apparente meta si affanna a consumare suole, fiato e a produrre sudori diversamente aromatizzati. Come la riproduzione contemporanea di numerosi sistemi sonori singolarmente discernibili, ma simultaneamente irriconoscibili in una tiepida melassa confusa. Un suono di una varieta’ ripugnante di untuoso ed appicicaticcio cacofonico sporco si spalmava e persisteva sul corpo e nelle orecchie di Marcel: come a volte alzandosi al mattino ci accoglie un motivo di qualche canzone che poi ci accompagnera’, volenti o nolenti, per buona parte della giornata, cosi’ questa sensazione indistinta di confusione sonora permaneva nella sua percezione anche adesso che, allontanatosi dal centro cittadino, stava salendo le prime strade che lo avrebbero condotto a casa, in una periferia nemmeno brutta e nemmeno tanto caotica. Aveva fretta, anche se non era in ritardo, era piuttosto una ansia anticipatoria, un desiderio coltivato per tutta la inutile e noiosa giornata lavorativa, fatto crescere e fertilizzato da periodiche immaginazioni preventive: ora ci penso un po’ ma non troppo e questo mi aumenta il desiderio, poi passo ad altro, magari lavoro per qualche decina di minuti poi ci penso di nuovo, e cosi’ via. Alimentato da un crescendo di interruzioni del soddisfacimento, il desiderio ormai lo sovrastava. Un veloce panino, un po’ di vino (che aiuta) e velocemente nel letto, dove la morbidezza del contatto tra guancia e cuscino lo rassicurava, cosi’ come la sensazione di assenza di peso che non e’ piu’ sostenuto da quella coppia di appendici inette ma besi’ da un largo, comodo materasso, assecondante ogni movimento, compiacente e silenzioso maggiordomo delle sue varie protuberanze carnee. Dopo breve il sonno e dopo poco il sogno. Lui, ma piu’ alto con una grande forza, che sulla strada per raggiungere il posto di lavoro devia per una strada secondaria a cui prima non dava importanza, ed ecco, dietro una casa anonima, un paesaggio come da fiaba: gatti su prati morbidissimi,ruscelli freschi rotolanti su pietre smeraldamente verdi di un muschio profumato.
Le sette, la sveglia. Come gia’ da qualche tempo, questa sua nuova e piacevole occupazione: ripetere cio’ che aveva visto (o vissuto?) la notte in sogno. E cosi’ prese la strada, individuo’ quella piccola laterale, vi svolto’, certo non era il paradiso che aveva visto in sogno ma ugualmente quel paesaggio suburbano aveva un che’ di misterioso, fosse vero o fosse solo una proiezione della sua volonta’ poco importava.
La notte successiva, era andato a letto alle otto, aveva sognato di nuotare nel mezzo di un lago circondato da gabbiani che lo guardavano incuriositi, molto grandi, con un occhio nero e riflettente come di ossidiana, questo basto’ affinche il giorno dopo prendesse un giorno di ferie, si recasse sul lago geograficamente prossimo alla sua abitazione, si spogliasse e, facendo il morto sulle acque fredde ma pulite , godesse della vista di diversi uccelli volteggianti sopra di lui, come araldi di un paese lontano che gli confermassero con la loro sola presenza la verita’ e la ricchezza di una terra remota e non citata dalle carte ufficiali. E cosi’ nei giorni seguenti Marcel andava replicando nella vita cosiddetta reale le fantasie oniriche della notte antecedente, ma chi poteva con certezza distinguere le due? Chi poteva arrogarsi l’imparzialita’ di giudizio per dire questo era vero e questo no? Dopo un mese di questo nuovo sport, Marcel vagava tra una visione di se nella veglia che ripeteva la visione di se nel sonno, l’una a rispecchiarsi nell’altra, un gioco di riflessi deformato e deformante, un vortice di richiami e rimandi , una apoteosi del detto comune che si interroga se sia stato generato prima l’uovo o l’uccello portatore della cloaca che lo depose.
Tutto questo fino a quel martedi’ sera quando Marcel sogno’ di volare, librandosi senza peso dal 20mo piano di un alto edificio nella parte moderna, adibita per lo piu’ ad uffici, della sua citta’, o meglio, al mercoledi’ mattina quando si chiari’ con evidente e sanguinolenta prova dove stava il falso e dove il vero. A meno che anche quello non fosse un sogno, Marcel non ne era proprio sicuro.

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